domingo, enero 31, 2010

Rettifica sul post precedente




[...] la nostra vita è così poco cronologica,
tanti anacronismi interferiscono nella successione dei giorni
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto
(All'ombra delle fanciulle in fiore. Parte II: Nomi di paese: il paese)

In realtà, e ripensando meglio la questione (adoro gli scrittori che ti obbligano a ripensare le questioni, che ti aprono la mente, che ti scombussolano le idee): non è che Proust ci spinga a stare da un lato o dall'altro dell'abisso (dentro o fuori del Tempo - l'uso del maiuscolo non è casuale, ovviamente). E' che tutti noi, in quanto esseri mortali, siamo sempre immersi fino al collo nel Tempo (nello scorrere inesorabile ed inarrestabile dei minuti e delle ore, dei giorni e dei mesi, degli anni...).

Posso guardarmi come "fuori del Tempo" solo se mi sforzo di osservare la mia vita dall'esterno, come se la mia fosse la "vita di un altro", come se io stesso fossi il "protagonista" della mia vita ancora da vivere (è quando Proust veste i panni di Marcel, del Narratore, che - essere mortale, in carne ed ossa, soggetto al potere del Tempo - può riuscire a parlare di sé come personaggio fuori del Tempo - o come essere la cui memoria (quand'è involontaria) gli permette, per pochi e rari momenti privilegiati, di cogliere verità o illuminazioni sul proprio "io" che esulano (sono perciò fuori) del Tempo.

Eppure è proprio questa possibilità: di vedere la mia vita come un romanzo e di considerare il mio "io" come un personaggio a mettermi davanti all'incapacità di vivere davvero fuori del Tempo, senza la presenza ingombrante e, a volte, opprimente, dello scorrere delle lancette sull'orologio...

Si tratta, insomma, di un'illusione o di una "menzogna romanzesca". Io non posso, ad esempio, immaginarmi il capitolo finale, l'ultima pagina della mia vita: come dimostra Freud in vari suoi scritti sul tema, posso immaginarmi la mia morte solo proiettando quest'ultima sulla morte di un altro. Posso pensare la morte di uno sconosciuto, la morte di un amico o di un parente, posso addirittura immaginare la morte di un padre o di una madre, ma non potrò mai immaginare sul serio il giorno e il modo in cui io smetterò di vivere. Si può narrare la propria morte, fingendosi fuori del Tempo, solo grazie all'immaginazione delle morti altrui (che poi vivere consista anche nell'accettazione dell'essere stati gettati nel mondo proprio in quanto "esseri-per-la-morte", beh, questo è un altro paio di maniche su cui Heidegger ha riflettuto a lungo e ci ha illuminato parecchio, dicendo cose molte interessanti, anche se con linguaggio a volte davvero troppo arzigogolato, nel suo Essere e tempo...).

Anche lo spagnolo Javier Marías, come Proust, ha riflettuto in varie sue opere su tale strano legame che abbiamo col Tempo (e sulla dicotomia spaziale tra lo "stare fuori" e lo "stare dentro" il Tempo).

Prendiamo un curriculum vitae: ebbene, esso dovrebbe incarnare alla perfezione questo nostro tentativo di vederci come "personaggi di un romanzo (ancora) da scrivere" (o "persone di una vita (ancora) da vivere"); in un curriculum vitae io organizzo il "mio tempo" in parti, capitoli, paragrafi ben precisi e separati cronologicamente tra loro per comunicare e mostrare agli altri "quello che io sono" in quanto essere mortale immerso nel Tempo. Peccato, però, che, troppo spesso, ci si dimentica di valutare (e apprezzare) debitamente anche quegli eventi, quei progetti, quelle aspirazioni che, non essendosi concretizzate nel Tempo, non vengono annoverate come facenti parte integrante del curriculum. Quando invece e a ben guardare noi siamo fatti non solo di quanto abbiamo effettivamente fatto, ma anche e soprattutto di quanto avremmo voluto fare e non siamo riusciti a fare. Non solo di lavori concreti e portati a termine, ma anche di sogni, illusioni e aspirazioni ancora non realizzate. E quindi consistiamo sia di tempo concreto e computabile e matematicamente misurabile, ma anche di tempo potenziale, non tangibile e non calcolabile e che chissà se un giorno arriveremo a vivere (dal "di dentro", oltre che "dal di fuori").

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