Rosemary's Baby (1968) di Roman Polanksi e l'Abruzzo
È ovvio che solo ad una seconda (o ad una terza) visione, lo spettatore (cinefilo) si accorge delle sottigliezze, dei piccoli dettagli, dei messaggi cifrati o nascoti (o nemmeno poi tanto nascosti) del film. È ciò che accade quando si ha a che fare con i "classici" e - diciamolo subito - Rosemary's Baby di Roman Polanski lo è.
Un esempio banale: quando Mia Farrow (o Rosemary) si ritrova dal ginecologo, sfoglia una rivista, un numero del Time e qual è il titolo? Quello che vedete in foto... Siamo già in una fase avanzata del film; la povera donna incinta sospetta già del marito e dei vicini di casa, forse membri di una setta satanica o forse indemionati e stregoni essi stessi ed è ovvio che sul Time non può non parlarsi della "morte di Dio", no?
E poi c'è la battuta dei due coniugi, gli allegri e vispi vecchietti che diventano amici della coppia protagonista del film e che si prendono una piccola vacanza: lasceranno l'America per andare in Europa e...tra tutte le città europee qual è quella che cita proprio il marito? Insieme a Dubrovnik e a Mallorca, appare Pescara...Pescara?! Sì, Pescara, la città abruzzese sulla costa adriatica in cui - da bambino e da adolescente - ero solito andare in vacanza insieme ai miei e agli amici... Ma perché proprio Pescara? Quali connotati demoniaci o esoterici ha intravisto un polacco emigrante negli USA come Polanski quando gira quello che è il suo primo film americano? (dopo averne girati altri in Inghilterra e dopo che ne girerà altri ancora in Francia?).
Ecco, io questo riferimento alla terra abruzzese proprio non me lo so spiegare...
E poi c'è l'autocitazionismo: come non pensare a Il coltello nell'acqua (1962) guardando questo fotogramma? E quando Mia Farrow cammina nei corridoi di una casa che si sta trasformando in carcere, come non ricordare la Catherine Deneuve di quell'altro capovoloro che è Repulsion (1965)? L'acqua come elemento simbolico in cui la protagonista (o i coprotagonisti) corrono il rischio di affogare; le pareti della proria casa come cornici di un delirio o confini labili tra realtà e finzione (e a proposito di case inquietanti, come non riandare con la mente e la memoria a L'inquilino del terzo piano, del 1976, dove sarà lo stesso Roman Polanski a gettarsi dalla finestra perché vittima degli scherzi e delle microviolenze dei vicini?).
E poi c'è il finale: quando Mia Farrow scopre la verità e si avvicina alla culla del bambino (ricoperta da addobbi a lutto) che le è stato sottrato e...scopre l'orrenda verità (che non vediamo - un'ellisse perfetta, sconcertante e che trasmette ancora più angoscia allo spettatore in ansia di vederlo, codesto neonato figlio di Satana...)
Film che vidi per la prima volta a Roma e di cui non capii nulla perché per la quasi interezza dello stesso m'intrattenni in sollazzi di tutt'altra natura con Alyssa, quando s'era giovani e si sudava allegramente insieme...
No hay comentarios:
Publicar un comentario