sábado, enero 30, 2021

 30/1/2021


Questa sera ero indeciso se finire di leggere un capitolo dal bel saggio Antropologia delle immagini (2002) di Hans Belting o se continuare a perlustrare la mente "maniaca" e alquanto "nabokovkiana" del narratore in prima persona de La storia di mia moglie (1957) di Milán Füst (regalo graditissimo di un caro collega di Budapest, un ispanista ungherese che traduce anche Camilleri e ha un dominio assoluto dell'italiano, del francese, dell'inglese e del tedesco - non ricordo se sapeva anche il russo e se aveva iniziato a studiare anche l'arabo -).

Belting mi stava facendo ragionare sul corpo come luogo della memoria e luogo che, oltre a conservarle, le immagini le produce (quelle che nascono dai sogni, ad esempio; o quelle che ricaviamo dal passato attraverso la memoria e il ricordo - cita Proust, ovviamente, come non citarlo se si parla della triade immagini-memoria-ricordo?).

Füst, invece, mi spingeva a riflettere su come è assurdo l'amore e su quanto può essere distruttiva la gelosia: "Perché l'indifferenza ci mantiene intatti, la passione invece ci umilia" (cit., p. 201 dell'ed. Adelphi - un lavorone quello della traduttrice, Marinella D'Alessandro, che non conosco affatto ma che ammiro da subito per come riesce a rendere, in italiano, il fraseggio simpaticamente folle e assurdamente attorcigliato di questo marito preda della bestia dagli occhi verdi che Yago scatena nella mente di Othello).

Poi, di colpo, la realtà è entrata prepotentemente di scivolata e mi ha fatto lo sgambetto, e steso al tappeto: mia madre mi confessa che mio padre non sta tanto bene; una mia cara amica di gioventù mi avvisa che ieri è morta la madre di un nostro comune amico, quasi un fratello, per me, uno che è finito col diventare direttore in una banca di Liverpool...

L'ultima volta che ci siamo visti fummo felici: suo fratello ci aveva invitati a cena in uno dei ristoranti più belli e lussosi del centro della città (lavora nell'ambito alberghiero; conosce un sacco di gente importante; ha fatto affari coi vips); io avevo un mucchio di cose da raccontare loro sul mio lavoro all'Università; lo chef non la finiva di illustrarci le innovazioni dei suoi piatti, accompagnati da vini mai bevuti prima in vita mia (molti argentini, qualcuno americano).

Poi un messaggio su Facebook, scritto in inglese da un parente, finisce di stendermi a terra: il mio amico non mi aveva mai detto che, prima di sua madre, ha perso anche un cugino, per colpa del virus, e uno zio, causa infarto fulminante.

E allora, il 30 di gennaio del 2021, la sera, mentre la prole dorme o sembra che stia dormendo, uno si domanda che senso abbia tutto questo fare ricerca, tutto questo leggere, tutta questa letteratura...che senso ha Nabokov con le sue farfalle e la sua insonnia, o Moresco col suo Chisciotte redivivo e affatto folle o Belting con le sue analisi superbe delle maschere mortuarie...Che senso ha il romanzo di Milán Füst quando fa dire al suo narratore pazzoide frasi come questa?

"D'altra parte, se questo mondo non è fatto per l'uomo, allora per chi lo è? E perché dovrei prendermela se uno spirito superiore si diverte e gode nel vedere le inutili lotte della mia vita?" (id., p. 141).

Se il mondo non è fatto per noi, se la nostra anima è (sempre e da sempre) condannata a smarrirvisi, che senso ha lo stare su questa Terra?

Poi penso che l'ultima volta che io e il mio amico ci siamo salutati, davanti al mio hotel, nella periferia di Liverpool, vicino a un McDrive, ci siamo ripromessi di vederci in Spagna e che gli avrei fatto assaggiare le prelibatezze della cucina spagnola e che l'avrei invitato in uno dei posti più tipici del centro della città del Sud del Sud della Spagna in cui vivo e che suo fratello era anche lui invitato, claro que sí...

E chissà che tutto questo non accada. Prima o poi. Anche se il mondo non sembra un luogo ideale per l'essere umano. Anche se la nostra anima sembra sempre smarrita...

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