domingo, enero 17, 2021

Gli esami col virus


È la prima volta, in vita mia, che mi capita di fare gli esami nel bel mezzo d'una pandemia mondiale. Il virus lo si nota da subito, sin dall'appello: studenti in fila indiana, distanziati di un metro l'uno dall'altro, stranamente seri, dietro le mascherine che cancellano i nostri sorrisi o le nostre espressioni a metà tra la preoccupazione e la disperazione.

Un'alunna mi avvisa: appena finisco, devo consegnare e andare subito via perché sono in trattamento. Chemioterapia. Le faccio l'in bocca al lupo (sia per l'esame sia per la sua condizione di salute). Sorride. O meglio: intuisco che mi sorride, in quei pochi secondi che ci separano tra la consegna del testo e l'elaborazione dell'esame scritto.

Un'altra studentessa mi chiede se, una volta abbondonata l'aula, dovrà disinfettare la sua sedia e la postazione in cui si è accomodata. C'è un flacone e un rotolone di carta assorbente: non so cosa dirle né ricordo se quel tipo di operazioni le svolge la donna delle pulizie. Nel dubbio, le dico di sì, certo, ogni alunno, una volta consegnato l'esame, dovrà ripulire con il liquido disinfettante la porzione di banco occupata per fare l'esame.

Due colleghi sottolineano il successo dell'operazione: esami in presenza, per ora è andata bene. Qualcuno fa notare che lunedì dovrà fare comunque un paio di esami orali e "online" a due studenti col virus. Anch'io ne ho una, aggiungo. Domani l'esaminerò tramite videoconferenza. Ma in che mondo viviamo? Come siamo finiti qui? Perché ci siamo ridotti così?

Le più giovani indossano jeans stretti e scarpe da ginnastica, come se fare l'esame fosse un mero tramite, un'operazione di routine, come fare la spesa o pagare una bolletta alle Poste. Una più matura, madre di famiglia, non ho dubbi, mi sorride con gli occhi luminosi e mi ringrazia. Di cosa? Non lo so. Il collega dell'aula di fronte alla mia mi fa notare che donna elegante che è, che portamento, che signorilità. 

Poi andiamo tutti via. C'è un vigilantes che ci controlla la temperatura anche all'uscita. Ma perché? C'è una mamma che fa cenno alla figlia: è venuta a prenderla in auto, non si fida dei mezzi di trasporto pubblici. Un tram languisce all'ultima fermata, che è proprio quella che si trova di fronte all'Università. Il conducente mi guarda e, forse, mi sorride anche lui. Due piccioni si disputano poche molliche di una pizza rancida nei pressi del bidone della spazzatura. Uno stormo d'uccelli attraversa il cielo limpido invernale a velocità ridotta, come se viaggiassero al rallentatore. È venerdì mattina, il calendario indica il 15 di gennaio 2021 e noi siamo ancora alle prese con un virus che non si sa quand'è che riusciremo davvero a debellare. Né se - nel corso di questo nuovo anno - ci darà un minimo di tregua. Intanto, i morti aumentano, i contagiati pure. Speriamo aumenti anche il numero dei vaccinati e che il rimedio sia davvero il vaccino.

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