martes, junio 19, 2007

Il (sub)cinema di Quentin Tarant(ello)tino


Esistono molti prodotti della cosiddetta "cultura underground" o "sotto-cultura", diramazioni di serie B della cosiddetta (e oggi, sincermente, difficilmente etichettabile o circoscrivibile) "cultura di massa". Dai giornaletti "zozzi" della mia pre-adolescenza (quelli, per intenderci - e a buon intenditor poche palabras - con stampato in un angolino della copertina il simbolo di uno squalo azzurro...oddio, che edizioni erano mai quelle? Quali case editrici sfornavano e promuovevano quel tipo di albo a fumetti vietati ai minori? Darei ottocento euro per poter tornare indietro nel tempo a rimirar quei fumetti, i nomi dei disegnatori o degli autori, i dialoghi assurdi di quelle "nuvole parlanti", le figure iperboliche degli esageratissimi organi sessuali disegnati in primo piano e riprovare gli stessi brividi di curiosità e, perchè no, piacere perverso-sottile o sottile-perverso...ma questa è un'altra storia) alla musica popolar-nazionale targata Gigione e Donatello (chi non li conosce alzi la mano o si procuri un buon sistema satellitare, credo che vadano in onda su NapoliTV o su CanalMediterraneo o era SudSoundTv?).

Il cinema di quel genio di Tarantino, invece, non appartiene a questo genere di cose, ma se ne nutre avidamente e, direi quasi, euforicamente. Grindhouse, in tal senso, è l'ennesimo esempio dell'arte del regista americano (il quale, è importante ricordarlo, fu noleggiatore di videocassette in un paesetto della California di cui non ricordo il nome, prima di passare dietro la macchina da presa - quante centinaia o migliaia di pellicole deve aver visto quel cinefilo fino al midollo, prima d'inventarsi Pulp Fiction, uno dei film più belli e originali degli ultimi 30 anni a mio modestissimo parere). Ora, non conosco bene l'antefatto nè il finale finale; non so perchè il film, che prevedeva due sessioni, proprio come i "grindhouse" dei tempi che furono (una diretta da Tarantino e intitolata Death Proof; l'altra dall'amico messicano Robert Rodriguez e dal titolo Planet Terror -tutto un programma) si è ridotto alla sola parte girata dal regista americano (indagherò; pagherei altre ottocento, vabbè: facciamo settecento euro, per vedere l'opera di Rodriguez, ora). Sta di fatto che anche così il film merita di essere visto e goduto (per gli amanti del genere, come si dice sempre, ogni volta che si toccano i tasti dolenti del "cinema di genere").
La trama è sconclusionata e fuori dal mondo: uno stuntman che va in giro, come un vero serial-killer, ad ammazzare con la sua auto giovani fanciulle avvenenti e adeguatamente sboccate; i dialoghi sono al fulmicotone; la regia è godardiana. Vedendo Grindhouse ho riso, perchè ho ripensato a quei primi film della nouvelle vague francese, quelli di Godard (la casa di produzione di Tarantino si chiama, non a caso: "Bandapart" da "A band à part", film del 1964) o del collega, ex-docente di letteratura francese, sua eccellenza Eric Rhomer (indimenticabile il modo di girare le scene di dialogo, con in primo piano il volto della persona che ascolta e l'occultamento del volto di quella che parla e che ci ammalia con i suoi discorsi che sembrano monologhi "à part", appunto - e geniale è la scelta di farci seguire il discorso attraverso le sottili e costanti modulazioni dell'espressione facciale del destinatario; è a te, spettatore, a te, attore inquadrato, che parlo); non ricordo invece dov'è che Godard, ben prima del romantico Truffaut, smonta il montaggio e rompe la linearità narrativa e, quindi, temporale, facendo saltare una frittata da una padella, portando la protagonista intenta a cucinarsi la frittata fino a un telefono, farla colloquiare all'apparecchio per un buon paio di minuti e poi re-inquadrarla mentre ri-entra in cucina, con la frittata che, magia, torna a cascare dentro la padella...

In questo il film è decisamente godardiano: lo stuntman-killer, interpretato gigionescamente dal veterano (e, qui, sfregiato) Kurt Russell, si appresta a sfracassare il cranio di una delle belle fanciulle cadute nelle sue grinfie perverse e, colpo di scena - rottura totale di ogni principio di verosimiglianza al cinema - ci guarda, guarda in primo piano la macchina da presa e - ironia al quadrato - ci sorride (e ci rassicura: come a dire, tranquilli, quello che vedrete lo potete già immaginare, ora alla piccola pulzella le farò prendere un colpo, schizzerà sangue all'interno della mia macchina, ma state pure tranquilli, questo è solo un film, è solo cinema). Questo gesto lo fanno molti attori-feticcio nei film di Truffaut e, prima ancora, lo fa Jean-Paul Belmondo, estraendo una pistola dal cruscotto di un'auto rubata in una delle prime sequenze di A bout de souffle, del 1960, se non erro, l'opera prima, primo vero capolavoro di Jean-Luc (God)ard.

Ma godardiano Tarantino lo è anche quando "mima" le imperfezioni di quei film-spazzatura degli anni 70: fuori fuoco, l'immagine appare a volte sgranata, altre volte salta il sonoro, altre ancora vira dal bianco e nero senza avvertirci per poi tornare a colori squillanti (l'ottima fotografia, di fatto, è stata curata anch'essa dal regista).

Quando il film finisce ti poni due domande: 1-come diavolo ha fatto un'altra volta a fare un film sul nulla? La trama in senso stretto è limitatissima. Eppure il film dura due ore piene (Tarantino è un mostro nel rallentare il tempo e nel dilatare le azioni: tra una sigaretta e un cocktail, tra un bacio finto-appassionato e una parolaccia possono trascorrere anche interi quarti d'ora - ricordo le passeggiate-dialogate infinite di John Travolta e Samuel L. Jackson, o la cena al pub tra Travolta e Uma Thurman); 2-come diavolo fa a immaginare tante battute e a imprimere al tutto un alone di surrealismo violento? Sì, perchè spesso nei film di Tarantino non sono violente le immagini, ma le parole, e il modo in cui si scambiano parole i protagonisti; ogni scusa è buona per portare il tutto fino alle estreme conseguenze; ogni semplice barzelletta può nascondere il pugno in un occhio; ogni bisbiglio sussurrato il suo risvolto negativo (una pallottola in testa)...come se da un momento all'altro potessi lasciarci la pelle anche te, spettatore sprovveduto, che ti siedi in un "grindhouse" e ti gusti un film, sapendo che, bontà di dio, si tratta di cinema...

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