lunes, junio 11, 2007

Divago, mentre Aurelia prepara un piatto di pasta e un gatto (è femmina: una gatta) che, mi pare di aver capito, si chiama Luna, striscia lungo la gamba, mi fa le fusa, con la coda. Parliamo del più e del meno, ci scambiamo i nostri rispettivi punti di vista su globalizzazione, nuovi arricchiti, falsi poveri e problemi vari legati al mondo lavorativo.


Torno a casa e un treno sbuffa all'ingresso della stazione.


Attraverso un cavalcavia e un aereo rumoreggia nel cielo notturno, lascia la scia, anche se ora non si vede.


Apro la porta e squilla il telefono. Roby mi avverte: se non scendo entro la fine di Giugno a Roma mi disereda. O meglio: mi disconosce come amico. Mi passa Mery, mi dice che stanno mangiando una pizza ottima in centro. Sento i rumori dei piatti che sbattono contro i bicchieri. Avrei voglia di mangiare un tiramisù con loro, in loro allegra compagnia, la conosco anch'io quella pizzeria, i proprietari sono napoletani, la pizza è alta e soffice, croccante ai bordi, piena di mozzarella doc al centro, con una foglia di basilico a dare il tocco finale.


Riattacco e mi richiama mio fratello, che è alle prese con un caso difficile, anche lui da Roma (mi sembra di vederli quei soliti noti, i barboni di Piazza Vittorio). Parliamo della mafia italiana, della politica di sinistra di oggi (piuttosto deludente), dell'arrivismo dei più, della pazienza dei pochi, dell'umiltà di quasi nessuno, ormai.



Poi afferro l'ultimo romanzo che ho sul comodino e leggo questa frase icastica (come direbbe un critico d'eccezione se fosse ancora vivo, oggi, in quest'Italia del 2007 - Calvino docet):



"Imparò a gustare la speciale, leggera eccitazione che si prova girando per le stradine buie di una città sconosciuta, pur consapevoli che non si troverà altro che sudiciume, disagio, vecchi barattoli di latta d'oltremare con l'etichetta colorata, e giunglesco jazz d'esportazione, tambureggiante in sifilitici caffè. Pensava spesso che le grandi e celebri città, i musei, le antiche dimore di tortura e i giardini pensili non fossero che nomi sulla mappa della sua follia".



Mi rivedo a girovagare da solo in una notte di Novembre per il centro di Jérez de la Frontera (a un tiro di schioppo da Cádiz); unico bar aperto pieno di fumo e giocatori di poker; unico posto in cui poter trovare approvviggionamento, alle unidici e mezza di sera, una frutteria, compro una mela e la mangio, mentre vago, di notte, da solo, pensando alla stanza, troppo stretta e maleodorante.



Prima di addormentarmi mi complimento virtualmente con quel genio che ha scritto la frase succitata: c'è già un film, dentro, o un altro romanzo. Ma questa, appunto, è un'altra storia.


Socchiudo gli occhi e ricordo che da Jérez, da una cabina pubblica, chiamai Alyssa, che era a Firenze, e le dissi che ero solo e che avevo bevuto un po' troppa birra e che stavo mangiando una mela per riempire lo stomaco. Era Novembre e facevano 20 gradi centrigradi, di notte.

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