martes, diciembre 31, 2024

Il tempo (passa)


Mentre la mia compagna d'avventure impara a suonare la fisarmonica e mio fratello si arrabatta tra i saluti di Capodanno e gli impegni lavorativi con il suo studio legale, io finisco un articolo sul Quijote e il cinema, l'ultimo articolo scritto nel 2024...(anche se verrà pubblicato nell'estate del 2025, se non ci sono intoppi e tutto va bene: un motivo di orgoglio e di allegria perché la rivista che lo pubblicherà è una delle più importanti nell'ambito della critica letteraria spagnola).


Don Chiosciotte è un'immagine, prima ancora che un personaggio letterario: tutti sanno (o saprebbero) disegnarlo, perfino coloro che non hanno mai nemmeno letto una pagina dell'opera di Cervantes. Non si può dire lo stesso né di Emma Bovary né di Amleto, né di Leopold Bloom né tantomeno di Julien Sorel o Raskolnikov. Don Chiosciotte è quel matto allampanato sui cinquant'anni (un anziano all'epoca di Cervantes) che se ne va in giro a raddrizzare torti e a difendere i più deboli delle ingiustizie del mondo in compagnia di Sancio Panza, un contadino basso e paffutello che lo segue con il suo asino in attesa di conquistare chissà quali isole ricche e piene di cibo e sole.


Mi piace l'idea di finire l'anno con uno dei miei personaggi (e dei miei romanzi) preferiti. L'ombra lunga di Cervantes si proietta anche in alcuni capitoli del libro, quello che dovrò finire e provare a pubblicare entro il 2025. 


E come ogni ultimo dell'anno, potrei anch'io (come milioni di persone) avvertire l'esigenza di fare un bilancio, ma non lo faccio, perché più passano gli anni e più provo a cogliere l'attimo, a vivere il presente, a godere dell'attimo che passa, come ora, proprio come adesso che s'intravede un cielo luminoso, nonostante una leggera nebbia che scende dalla montagna. Un uccello l'attraversa per venire a posarsi un secondo sul davanzale della finestra della cameretta in cui ho trascorso l'infanzia e l'adolescenza. Un'aereo lascia una scia e chissà dove va, dove è diretto (speriamo non caschi, come cadono ultimamente troppi aerei). Un gatto scodinzola e si intrufola sotto una macchina di un vicino che non conosco. Il tempo passa. Passerà anche questo 31 dicembre del 2024.

domingo, diciembre 29, 2024

 Oggi


Allora, oggi è sabato 28 dicembre del 2024 e io sono riuscito a tornare in Italia sano e salvo. Non ci sono stati incidenti aerei, né imprevisti mortali, anche se un raffreddore tremendo e un forte mal di schiena mi hanno obbligato a prendere medicinali e a stare disteso a letto per tutta la giornata, dopo quasi 10 ore e mezzo di spostamenti in macchina, aereo, bus. Roma è inondata dal sole, anche se fa freddo. Il paesino sui monti abruzzesi in cui sono nato è circondato dalle vette innevate (triste la notizia dei due amici morti assiderati sul Gran Sasso...una montagna che mi ha fatto sempre paura e su cui non sono mai riuscito a salire).
I miei fratelli mi conoscono bene e così, sulla scrivania, mi attendono due saggi molto belli e molto densi: Visus (Torino, Enaudi, 2024) di Riccardo Falcinelli e Pensare con gli occhi (Milano, Mimesis, 2017) di Harun Farocki. Ultimamente, oltre che dalla scrittura del libro, sono ossessionato dai saggi sull'immagine. Mi chiedo perché sia così ossessionato da questo argomento. E non trovo risposta, anche se mi sembra che il saggio di Falcinelli sul volto e quello di Farocki sul pensare con gli occhi facciano rima interna tra di loro (sono certo che da entrambi riceverò una montagna di stimoli, informazioni, sollazzo e piacere sia visuale che intellettivo).
Oggi è 28 dicembre del 2024, ergo, mancano appena 3 giorni per dare fine a quest'anno e inizio al 2025. Desideri nel cassetto: riuscire a vedere stampato il libro (ho appena aggiunto una nota al pie di pagina che non so se lascerò al suo posto; per ora si viaggia a quota 208 pp.). 
Il mal di gola persiste, quello di schiena pure, anche se leggermente meno doloroso. Domani andremo a vedere molto probabilmente l'ultimo film di Pedro Almodóvar, La stanza accanto, o La habitación de al lado, di cui ho letto recensioni molto positive. 
Di notte, m'imbatto in uno dei primi film di Almodóvar, ¡Átame!, ovvero, Legami!, con due giovanissimi Antonio Banderas e Victoria Abril, e mi ha fatto effetto vederlo all'interno di un ciclo chiamato "España carnal". Mi domando (ancora oggi) da dove deriva questa tendenza tutta italiana (tutta nostra e nostrana) a identificare "l'ispanicità" nella "carnalità" e nella "passionalità", nel Sesso e in Eros... C'entrerà qualcosa anche il mito della Carmen di Bizet? Non tenderanno per caso anche i francesi a far coincidere la Spagna con la carnalità?

jueves, diciembre 26, 2024

 Domani

Allora, domani torno in Italia: sarà il 27 dicembre del 2024, ancora 2024, ancora per poco. Dunque, immaginiamo che domani l'aereo su cui volerò cadrà a terra e io non ci sarò più. Il libro è rimasto in una cartella che si chiama "Libro LG", all'interno di un'altra cartella piena di articoli, capitoli sparsi, appunti. 
Oggi il libro dura 207 pagine, ma, molto probabilmente, alla fine, ne conterrà di meno (per evitare le inutili ripetizioni e perché, forse, eliminerò alcune note troppo lunghe o prolisse). Ecco: immaginiamo un 27 dicembre del 2024 che vede la fine della mia vita. Immaginiamocelo. Non solo mi perderò il resto della vita da vivere, ma non riuscirò mai a vedere pubblicato il libro e, soprattutto, non ce la farò a farne dono all'autore soggetto oggetto della mia ricerca. 
Voglio proprio vedere come va a finire. Ovviamente, faccio gli scongiuri e spero che domani l'areo arrivi sano e salvo con tutti i suoi passeggeri a bordo, felici e contenti di toccare il suolo italico, di tornare a Roma capoccia, di riassaporare le bontà della cucina italiana...

martes, diciembre 17, 2024

 Gli alti e i bassi

Ci sono molti "alti" e "bassi", nel processo di scrittura di un libro. Ci sono giorni in cui la scrittura sembra davvero scaturire in modo spontaneo e fluire senza freni, libera, chiara, cristallina. E altri in cui si fa davvero fatica a scegliere l'aggettivo giusto (soprattutto quando uno scrive in una lingua che non coincide con quella materna, quella che di cui si è nutrito sin dalla culla). E uno, nel corso di queste montagne russe emozionali, si domanda a volte se ce la farà ad arrivare a un punto finale, se ci sarà mai un finale al processo di scrittura, se ne sarà valsa la pena, d'intraprendere un viaggio in cui ci si è spostati a vista, navigando in mezzo a 6 capitoli già scritti e a 2 o 3 inediti da scrivere e montare insieme agli altri pezzi (sperando di non dare vita ad un freddo o amorfo Frankenstein, bensì a un caldo e bruciante Prometeo).

Ci sono "bassi" che fanno venire voglia di lasciar perdere; "alti" che ti spingono a fare sempre di più, a sperimentare forme e modi di incastrare il pensiero nelle pagine (forse troppe) di un saggio che a volte ti sembra sperimentale e altre un gioco che non ha molto senso (eppure, ce lo deve avere per forza se ogni mattina ti svegli pensando al "libro"; ovvero, a quell'oggetto che per ora sono circa 150 pagine di Word e, in futuro, in un futuro si spera non troppo lontano, diventarà un rettangolo di pagine stampate e rilegate pronte per essere lette da chissà chi...

Penso ai grandi scrittori, a Dante, a Petrarca, a Leopardi, ma anche a Proust, a Joyce, a Kafka, a Virginia Woolf... penso a quanta fiducia in se stessi hanno dovuto sperimentare prima di intraprendere l'atto di scrittura di To the Lighthouse o Ulysses, della Recherche o de Il processo...o della Commedia o del Canzoniere o de "L'infinito"... quanta angoscia per i limiti che uno avverte in se stesso e quanta incrollabile fiducia nei propri mezzi nel momento in cui si decide di superarli, questi limiti benedetti, e di andare oltre, di sconfinare, di scandagliare il linguaggio per scoprire zone mai esplorate prima o mai prima con quel linguaggio che uno inventa a partire da un mondo interiore che non sa bene come funziona e perché, comunque, riesce a funzionare e permette di creare opere incrollabili.

Come dice Samuel Beckett nella citazione che usa spesso Sandro Veronesi per i suoi romanzi: "Ho provato. Ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio". E quanto è importante "fallire meglio"...

martes, diciembre 10, 2024

 Il libro


Oggi, 10 dicembre del 2024, inizio il libro. "Quel" libro. Quello di cui parlavo anche l'altro giorno nel post intitolato "Articoli". Sì, proprio quel libro il cui indice redassi un anno fa, a febbraio... È passato quasi un anno. Ci ho messo quasi un anno intero prima di scrivere le prime righe dell'introduzione. È un libro strano, forse perfino strambo, perché fatto di capitoli seri e seriosi, scritti in terza persona del singolare, nel rispetto delle norme degli articoli scientifici, e di capitoli più intimi e ribelli, scritti in prima persona, in cui viene fuori la voce più autobiografica, quella che non ricorda bene le date, quella che mescola i ricordi "reali" con quelli "inventati" o "manipolati" dall'immaginazione...

È un libro che è anche un omaggio a uno scrittore che adoro, LG (non voglio fare il nome per scaramanzia; se riesco a pubblicare il libro, scioglierò l'engima per quelle tre o quattro lettrici che potrebbero ancora sentire la voglia di leggermi - ma ci saranno davvero queste presunte lettrici? Non si saranno ormai disperse? Non saranno ormai scomparse per sempre? Chi li legge più i "blog", soprattutto se di natura letteraria? O di tematica letteraria? Chi?).

L'emozione non mi impedisce di scrivere con fluidità e certa razionalità. L'intimo si mescola all'accademico; la vita vera a quella vissuta solo attraverso i libri; chissà come sarà la conclusione. Chissà se e quando riuscirò ad arrivare all'ultima parola. Alla fine del viaggio. Alla fine di tutto. 

Intanto, per ora, mi godo l'avventura di salpare. La scrittura come navigazione: metafore antiche, che vengono da Omero. Speriamo di salvarci. Intanto, ripeto, godiamoci il viaggio.

lunes, diciembre 09, 2024

 Articoli 


C'è uno scrittore amico che scrive che ci sono giorni in cui scrivere articoli (di taglio accademico o - come si dice a volte pomposamente anche nell'ambito degli studi umanistici - "scientifico") gli risulta un lavoro ingrato, un compito infinito, un dovere che lo priva di ogni energia positiva. A me è successo la stessa cosa mesi fa e non solo in relazione agli "articoli", ma anche ad altre pubblcazioni come possono essere le recensioni per riviste d'impatto, gli articoli d'opinione per un giornale locale o le conferenze da esporre oralmente in pubblico (l'ultima su Antonio Moresco, nell'ambito di un mega-congresso su "letteratura e misticismo").

A volte penso anche che la scrittura che non è fluida, che non nasce spontanea, che ci spossessa dell'energia positiva è destinata al cestino, alla sconfitta, all'impasse eterna. Ovvero: forse dovremmo scrivere solo quando siamo davvero convinti ed ispirati, quando l'ispirazione ci coglie lavorando (come diceva anche Picasso), quando l'immaginazione riesce a sorpassare a destra l'intelligenza e l'erudizione e diventa qualcosa di vibrante, qualcosa che perfino il lettore "non esperto" o "non accademico" riesce a percepire e, quindi, ad apprezzare.

In questo mese ho scritto due recensioni, un articolo, una conferenza e un'introduzione ad un evento organizzato dalla Società Dante Alighieri in collaborazione con l'Instituto Cervantes. Il testo migliore, senza alcun dubbio, è proprio il prologo all'evento culturale succitato, un testo di due paginette, ispirato e scritto con un linguaggio comprensibile a tutti, in cui torno così indietro nel tempo da riscattare Omero e citare l'episodio delle Sirene (una scena mitica di tutta l'Odissea, avvolta nel mistero e che pone una domanda cui ancora oggi non riusciamo a trovare una risposta: "cosa cantavano le Sirene?").

Poi mi viene in mente la paginetta in cui ho scritto l'indice e i punti centrali di un libro "ideato" il 22 di febbraio dell'anno scorso (2024) e che - ahimè - non sono ancora riuscito a mettere nero su bianco. La scrittura del libro mi sembra una missione impossibile da portare a termine, eppure, ho già in mente il contenuto dei capitoli, ho intere frasi scritte in mente, ho una caterva di citazioni "salvate" sul pc e da sfoderare nei momenti e nei luoghi strategici del libro. Dovrei solo trovare il tempo. Mettermi alla scrivania. Sedermi davanti al computer. E scrivere. Scrivere. Scrivere. Senza stare a badare troppo all'effetto che il libro potrebbe generare nei futuri lettori; senza pensare nemmeno a un potenziale futuro lettore. Dando il meglio di cui sono capace. Cosciente del fatto che non c'è il libro perfetto né potrebbe mai esistere una cosa del genere. Cosciente del fatto che i libri si dovrebbero scrivere sempre (e solo) con passione, come una domanda che ci assilla, come un'ossessione che si vuole osservare da vicino, come un puzzle che non si vuole finire...

sábado, noviembre 30, 2024

NUBI


La parola "crisi" aleggia in casa come una nuvola che minaccia pioggia. C'è stato un dottorando, francese, di Grenobles, che ha rinunciato a viaggiare nel Sud del Sud della Spagna in cui mi trovo e in cui ho coordinato da poco un progetto europeo sulle immagini della violenza in letteratura per paura della DANA e delle alluvioni che hanno devastato alcuni paesi dei dintorni di Valencia. E poi c'è la parola "stress" che è legata sia allo sforzo extra dovuto alla coordinazione del progetto, sia all'ansia di chi mi accompagna in quest'avventura assurda che è la vita per un altro impegno accademico che determinerà tutta la sua carriera futura (e chissà se, di riflesso, anche la mia vita).


E, infine, c'è la parola "solitudine": un bene prezioso di cui posso godere solo di rado, che molti evitano o di cui molti hanno paura e, invece, a me sembra un'opportunità per frenare, per fare le cose con calma, per poter leggere in profondità, per poter godere come si deve di un buon film (o di un buon vino).


Ho scritto a uno scrittore italiano che ho avuto ospite (per un altro progetto che non ha nulla a che vedere con quello succitato) perché avevo voglia di fargli sapere di quanto sia piaciuto un suo romanzo in un congresso su "letteratura e misticismo" (l'autore in questione è agnostico, o sicuramente ateo, o certamente lontano anni luce dalla religione cattolica). Poi ho chiamato per telefono un altro scrittore, questa volta spagnolo, per il semplice desiderio di sapere come sta, perché è anziano, ultranovantenne e certe telefonate vanno fatte, prima che sia troppo tardi...


Questa sera, invece, andrò al cinema a vedere La vita degli altri (di Florian Henckel von Donnersmarck, del 2006): un film che fa riflettere e che colma la solitudine di chi forse, un sabato 30 di novembre, non dovrebbe passare così tanto tempo da solo. Poi si vedrà. Sperando che la "crisi" e lo "stress" vadano via o si attenuino o diventino qualcos'altro...

viernes, noviembre 15, 2024

 Il passato che torna

Ieri ho fatto una cosa che avrei dovuto evitare: ho aperto una cartella piena di foto del passato e, ovviamente, il passato è tornato a vivere il presente, ad invaderlo, a occuparlo in modo immediato e inevitabile, senza chiedermi il permesso.

Mi torna in mente una canzone dei Zen Circus, una canzone che s'intitola Catene e che a un certo punto dice: "Il tempo viaggia sempre e solo in una direzione / Mentre in quella opposta trovi solo le macerie / I vecchi lo sanno bene, lì è meglio non andare". E come dare torto a chi ha scritto queste parole? A volte è meglio non andarci nel passato, perché ci sono fantasmi che poi ci fanno venire gli incubi o persone che abbiamo amato in modo ossessivo e che oggi ci hanno dimenticati, altre che non ricordavamo di aver conosciuto e che, all'improvviso, ci mettono davanti alla nostra mortalità, al fatto cioè che, come loro, anche noi siamo condannati a cadere nell'oblio degli altri (o di alcuni altri che hanno attraversato le nostre vite come si attraversano le strisce pedonali in una città in cui non si tornerà più, viaggio di solo andata, città vista e non vista, o intravista solo dai finestrini di una macchina o del treno).

Il tempo viaggia sempre e solo in una direzione e nessuno può pretendere di bagnarsi due volte nelle acque dello stesso fiume, né può pensare di bruciarsi due volte nello stesso fuoco.

Ho chiuso la cartella, ho smesso di guardare certe foto, in preda a uno stato d'animo saturnino che, a sua volta, mi ha evocato l'angelo che non vola, l'essere sovrannaturale con la mano sulla guancia e il gomito sul ginocchio che Albrecht Dürer disegnò nel lontano 1513 (ovvero, 511 anni fa). Tutti ricorderanno che in quell'illustrazione (incisione a bulino) l'angelo in questione è circondato da un sacco di oggetti dal valore simbolico e anche alquanto inquietante: si vede una clessidra (il tempo che passa); strumenti della matematica e della geometria per misurare la realtà in modo scientifico; una scala che porta chissà dove e un rombo fatto di chissà che materiale (pietra? marmo? legno?); un pipistrello che tra le zampe sostiene un pezzo di stoffa con su scritto il titolo dell'illustrazione: Melancolia I (perché I? C'è anche un II?); appare anche un cane mezzo addormentato, tra un martello e dei chiodi sparsi per terra. 

Ecco, guardando lo sguardo triste di quest'angelo misterioso ho pensato che la prossima volta farò più attenzione, perché, all'interno dei nostri computer, alberghiamo pezzi del passato che possono fare male o, addirittura, indurci a pensieri tristi, per non dire deprimenti...

PS: che fine faranno tutte queste cartelle "segrete" all'interno dei nostri pc (scatole nere) quando non esisteremo più? Cosa penseranno di noi gli eventuali testimoni che potrebbero imbattersi nelle foto custodite in queste cartelle?


viernes, octubre 25, 2024


Presentare i libri degli altri

Una cara amica m'invita ad Alicante per presentare il suo libro, la sua opera prima, il primo romanzo, in una delle librerie storiche della città. Ci stimiamo entrambi. Ci rispettiamo e sappiamo entrambi che sarà una passeggiata, non serve dirselo a viva voce, a volte basta uno sguardo. 

La sala della libreria in cui si organizzano questi eventi è piena. Non una sola sedia pieghevole libera. La chiacchierata scorre senza intoppi, quasi 2 ore e il pubblico non sembra annoiato. Quando finisce l'atto (e terminano le domande da parte del pubblico) il proprietario della libreria mi stringela mano: "Lei è riuscito a parlare di questioni filosofiche e letterarie di grande complessità con un linguaggio ameno e comprensibile a tutti". 

Resto colpito dal suo commento. E dai complimenti degli altri. Stringo un sacco di mani e mi presentano persone mai viste prima...

Poi, io e la mia amica, insieme al suo compagno e a una cagnetta che si chiama Isla, andiamo a cena insieme per continuare a festeggiare in nome dell'amicizia e dell'amore per la letteratura (la nostra comune passione). 


"Dobbiamo confessarti un segreto", dice a un certo punto M. 

"Oddio, cos'è successo?".

"Sono incinta!".

"Ma non ci posso credere!!!".

Ci abbracciamo e quasi piangiamo dall'emozione. Anche Isla scodinzola. Il cameriere (che parla con forte accento tedesco) ci porta in tavola i piatti prelibati del menù tailandese. Osservo alcune coppie a spasso mano nella mano. Le luci accese in alcuni appartamenti di fronte al tailandese. Le stelle nel cielo notturno. I tavolini pieni e le candele che illuminano i volti dei clienti. La sensazione strana e affascinante di stare presenziando un evento unico che si ripete da millenni. La vita che si fa strada e la catena umana delle generazioni che continua a far girare questo pianeta da secoli. M. è felice. Ci stringiamo la mano forte. Da qui a pochi mesi la sua vita non sarà più la stessa. A volte mi domando cosa significhi essere padre (o madre). Un lavoro a tempo pieno che non finisce mai o che finisce solo il giorno in cui si smette di vivere. Un impegno costante. Un tentativo costante di trasmettere conoscenza e valori a una creatura che non sa nulla e che deve apprendere tutto. La paura di sbagliare. La paura dell'incomprensione. La paura del distacco. La necessità di distaccarsi dai figli affinché vivano la loro vita e facciano gli errori che noi abbiamo già commesso...


Poi arriva il momento di tornare a casa in taxi. M. è stanca, da quando ha scoperto di aspettare un bambino si stanca con più facilità. Ha sonno, ma canta quando il tassista alza il volume e parte una canzone di Tina Turner. M. canta in inglese (ha vissuto mezza vita tra Inghilterra e Stati Uniti, prima di tornare in Spagna, la sua terra natale) e il compagno sorride, mentre accarezza Isla. Mi ospitano nel loro appartamento al nono piano di un palazzo di recente costruzione con vista panoramica spettacolare sul mare. Guardo il mare di notte. Le luci di navi in lontananza. Penso a come reagirà la mia compagna di viaggi e di avventure quando le svelerò il segreto di M. (anche lei l'ammira molto, sia come scrittrice che come studiosa). Penso a come sarà la mia prole di qui a dieci o vent'anni. Penso al futuro, ma soprattutto a questo momento presente che mi voglio godere fino in fondo... Parliamo di letteratura fino alle 2 di notte. Poi M. crolla davvero, mi saluta di fretta, sbadigliando. Ha una vita dentro di sé che vedrà la luce a fine aprile. La vita va avanti, sempre...

jueves, octubre 10, 2024

 L'ultimo Premio Nobel per la Letteratura



Apprendo al volo (leggendo distrattamente La Repubblica online) che il nuovo (ultimo) Premio Nobel per la Letteratura è stato dato a una scrittrice sudcoreana che si chiama Han Kang e che ha scritto diversi romanzi di cui io ignoravo (ed ignoro) l'esistenza, come Atti umani o La vegetariana. Leggo l'intervista che Elena Stancanelli le fece nel 2017 e scopro una domanda che mi affascina, mi colpisce e fa rima con un progetto di ricerca in cui sono immerso insieme a colleghi che vengono dalla Germania, dalla Francia, dall'Ungheria, dall'Italia (certamente) e perfino dall'Ucraina: "Mi chiedo: che cos'è un essere umano? Cos'è che ci rende umani, cosa rende umano un essere umano?". Ecco: queste sono alcune delle domande che ci stiamo chiedendo io, i colleghi e gli studenti coinvolti in un progetto Erasmus sul tema: "Le immagini della violenza in letteratura e nell'arte dei secoli XX e XXI". Che cosa ci rende umani? E cosa rende umano un essere umano? Potremo mai fare a meno della violenza come "tratto precipuo" e "atemporale" dell'esser umano?

Non ho mai letto nulla di Han Kang, ma già solo per quest'intervista e per le domande che si pone alla fine (senza dare una risposta né a Elena Stancanelli né agli altri), mi viene l'irrefrenabile voglia di andarmi a leggere almeno uno dei suoi romanzi...

martes, septiembre 10, 2024

Sarebbe diversa...

Oggi pomeriggio il fato (o il destino) ha voluto che andassi al parco giochi a trascorrere tre delle ore più tristi della mia vita (quando uno ha solo voglia di silenzio, di stasi, di calma, di solitudine). Schiamazzi e urla di bambini dai 2 ai 6 anni, a un certo punto capto questa frase (la pronuncia una giovane, bella madre di una quarantina d'anni): "Se non fossi sposata con mio marito la mia casa sarebbe diversa; anche il frigorifero avrebbe altri cibi al suo interno e la camera coi letti sarebbe diversa, sarebbe diversa tutta la casa, senza mio marito...". 

L'amica che l'ascolta sorride e aggiunge: "Vabbè, ma lo sappiamo che il matrimonio si regge sul compromesso!".

Io torno a casa con la coda tra le gambe, l'animo a terra, la testa indolenzita da tante urla infantili. 

Il parco giochi: per me potrebbe essere denominato anche "succursale dell'Inferno". E penso a quel marito ignaro di ciò che la moglie pensa di lui e di come sarebbe la loro casa se solo lui non vi abitasse.

domingo, septiembre 01, 2024

 1 di Settembre 



Come ogni anno, quando si tratta di tornare a lavoro (di riprendere contatto con l'Università in cui lavoro e, quindi, con i colleghi, gli studenti, i segretari, etc.), mi abbatte un'ansia che un'amica cara definirebbe come "anticipatoria". È come se il mio cervello si rifiutasse di guardare i lati positivi del ritorno alla "normalità" e alla "routine" e si concentrasse solo sui lati negativi: l'impossibilità di leggere solo per piacere; quella di andare in giro in bicicletta per monti e montagne per più di 3 ore di seguito e senza nessuno attorno, solo tanta Natura, solo tanto verde e aria buona; quella di andare a fare un bagno al mare, per poi poter andare a pranzo o a cena in orari non certo abituali; quella - semplicemente - di perdere tempo sapendo che non è tempo perso, ma tempo guadagnato, sottratto alla concezione ultracapitalista e utilitarista del tempo così come lo concepisce la stragrande maggioranza degli altri esseri umani che fanno parte della società in cui mi muovo.

Eppure, oggi, 1 di Settembre del 2024, è stato un giorno speciale, indimenticabile, uno di quelli da segnalare con un evidenziatore giallo sull'agenda. Un incontro inaspettato. I segni dell'antica fiamma. La pelle che torna a tremare al tatto di un'altra pelle che credevamo ormai lontana... Un tramonto visto dal fiume, in compagnia di altri sportivi che corrono e sudano con la speranza di mettere un freno agli eccessi culinari dell'estate... 

Leggo Pedro Salinas, il suo poemario più famoso, che s'intitola La voz a ti debida (ovvero: La voce a te dovuta). Apro una pagina a caso e m'imbatto in un verso che spiega perfettamente il mio stato d'animo dopo questo reincontro improvviso, del tutto inaspettato, per niente programmato: "Y no quiero ya otra cosa / más que verte a ti querer", che potremmo tradurre così: "E non voglio nient'altro / che vederti amare".

La danza dei corpi. La sapienza che abbiamo ereditato senza sapere che un giorno l'avremmo imparata a memoria. I ciclisti che ci sorpassano, due vecchietti che vanno a passeggio con il cane e ci guardano incuriositi e forse inteneriti dai nostri scambi di sguardi. L'antica fiamma. Quei segni che non si possono nascondere. La bici sporca e piena di schizzi. La borraccia svuotata subito per l'arsura d'entrambi. E non voglio nient'altro che vederti amare. Così dice il poeta...in questo inizio del mese che ci doveva riportare con i piedi per terra e, invece, ci regala emozioni che fanno volare o spingono al sorriso e alla risata condivisa...


viernes, julio 12, 2024

 Canto del buio e della luce di Antonio Moresco (o dell'esplorazione degli spazi infiniti)


In copertina si osservano delle strane figure filiformi, a metà strada tra gli esseri animati e i fossili, che sembrano protendersi verso un cielo nero al cui centro appare una sorta di luna o di pianeta fatto di pietra e di colore giallo. Le forme sinuose e ambigue potrebbero essere perfettamente le ciglia di un virus osservato al microscopio. Baccelli che sembrano staccarsi dal nucleo e protendersi verso l'infinito. 

Il titolo del romanzo, Canto del buio e della luce, rimanda inevitabilmente a una delle dicotomie cromatiche più antiche e note della storia dell'umanità: il buio, che siamo soliti associare al male, al pericolo e allo smarrimento; la luce, che, invece, ricolleghiamo per automatismo mentale al bene, alla salvezza e alla verità. Non è un caso se la selva in cui Dante si smarrisce è "oscura". Nel buio perdiamo la capacità di riconoscere le coordinate spaziotemporali che ci permettono di stare in piedi o di muoverci con scioltezza da un punto A a uno B. Nel buio non si ha più la percezione degli oggetti, degli altri, del paesaggio stesso in cui si collocano oggetti e altri esseri umani.

Dopo il titolo segue una "Prima parte istruttiva". Il romanzo si divide in tre parti: dopo quella "istruttiva", seguirà quella "sacrificale" e, infine, quella "abissale". Un climax ascendente, dal punto di vista dello sprofondare sempre di più nel buio più nero e fitto, nel peggio, nella perdita assoluta delle coordinate spaziotemporali.

L'incipit è forse uno dei più belli tra quelli scritti fino ad oggi da Antonio Moresco (nella sua essenzialità, nella sua apparente naturalità, nella sua umiltà nell'esporre i fatti e nel coinvolgere da subito il lettore): 

"Come farò a raccontare e a testimoniare una cosa simile?".

Tutti i romanzi degni di questo nome dovrebbero cominciare con una domanda simile o porsi una simile domanda anche se solo in modo implicito. Un romanzo è una narrazione lunga in cui si prova a raccontare e a testimoniare l'indicibile o ciò che appare come inenarrabile (pensiamo a Victor Sklovski e al suo angosciante Viaggio sentimentale, in cui l'autore rievoca la sua passione letteraria - o per lo studio critico della letteratura - al momento dello scoppio della Rivoluzione d'ottobre). 

Che "cosa simile" non si può narrare o raccontare? Il lettore sperimenta l'effetto della suspense sin da questa prima frase. E dopo uno spazio bianco (ce ne saranno molti, all'interno del romanzo), ecco un primo accenno, ancora più inquietante, ancora più stimolante per la mente di chi s'inoltra nell'atto della lettura:

"È cominciato a poco a poco, lentamente, impercettibilmente. Per questo, all'inizio, non si è capito bene cosa stava avvenendo, perché i nostri cervelli si rifiutavano di prendere in considerazione una tale enormità. Come si può concepirla? Invece stava succedendo davvero".

Ecco una parola chiave fondamentale della poetica (e all'interno dell'universo narrativo) di Antonio Moresco: "enormità". Il lettore appassionato di Moresco l'ha già incontrata ne La lucina, ne La cipolla, e, soprattutto, nella trilogia iniziata con Gli esordi, proseguita con i Canti del caos e terminata con Gli increati. "Enormità" in quanto sfida costante ai canoni del realismo e del principio aristotelico della "mimesis". "Enormità" in quanto tentativo razionalizzante di spiegare l'inspiegabile (un esempio su tutti: ma nel mondo dell'al di là i morti continueranno a indossare vestiti o no? Mangeranno e berranno o no? Continueranno a parlare o cadranno nel silenzio più assoluto? Sono queste le domande che provocano i narratori allucinati dei romanzi di Moresco).

Un altro spazio in bianco e, infine, il disvelamento parziale del mistero legato all' "enormità" attorno a cui ruoteranno le quasi 600 pagine del romanzo:

"Cosa stava succedendo?", si chiedevano le persone, guardandosi attorno prima stupite, poi sbalordite, poi spaventate, atterrite. Gi umani facevano sempre più fatica a riconoscere le cose sul filo dell'orizzonte. Le città a poco a poco sparivano, i contorni svanivano, il cielo e la terra si confondevano, era sempre più difficile distingere la notte dal giorno. Gli automobilisti guidavano con gli occhi sbarrati lungo i rettilinei delle autostrade, leggevano sempre più a fatica i nomi delle località scritti sopra i cartelli. Donne e uomini si vedevano sempre meno dentro gli specchi. I bambini all'inizio si divertivano, perché potevano giocare meglio a nascondino.
"Dove sei?"
"Cucù, sono qui!".

Ecco il fatto inenarrabile e indescrivibile: se viene meno la possibilità di poter "circoscrivere" attraverso la vista ciò che ci appare sulla linea dell'orizzonte, diventa impossibile anche seguire un discorso logico e razionale, separare correttamente le azioni svolte di giorno da quelle che si è soliti compiere di notte, viene sconvolto il nostro ritmo biologico e le piante non potranno più fare la fotosintesi e l'aria che si respira non sarà più la stessa, né l'atto quotidiano di andare al ristorante potrà più essere svolto secondo le norme sociali: lo chef cucinerà a occhio, i suoi clienti mangeranno letteralmente alla cieca e così pure le ballerine di una scuola di danza che insisteranno e continueranno a fare le prove davanti alla sbarra senza l'aiuto dell'immagine riflessa nello specchio. 

Che senso ha (può avere) uno specchio in assenza totale di luce? Possono gli specchi continuare a riflettere qualche abbaglio di realtà in una realtà permeata dall'oscurità? Che senso ha che attori di un set pornografico continuo a mantenere relazioni sessuali, quando nemmeno il regista sa più cosa sta riprendendo e a favore di chi? Ci si può masturbare nell'oscurità più totale? Ha lo stesso suono un canto emesso in una Terra totalmente sommersa dal buio?

A metà tra la distopia e il genere apocalittico, con Canto del buio e della luce Antonio Moresco prosegue la sua riflessione asistematica, afilosofica e altamente immaginativa e creativa attorno ai nodi principali della società del XXI secolo in cui siamo immersi: dai disastri ambientali all'egoismo più estremo; dalla politica perpetrata da ipocriti e mafiosi all'abuso dell'intelligenza artificiale che rischia di annichilire ogni forma di libero arbitrio e di libero pensiero, in questo libro strano e affascinante e terrificante Moresco si interrega e ci spinge a interrogarci su quale potrebbe essere il nostro ruolo all'interno di un mondo in estinzione per colpa delle azioni nefaste di una specie che sa che potrà estinguersi a breve con le proprie mani.

Coadiuvato dal sapere degli scienziati, il narratore molteplice e cangiante di questo romanzo ricorre alla fisica quantistica per cercare di spiegare in modo razionale l'irrazionale (personalmente, è la prima volta che leggo un romanzo in cui prendono la parola così tanti scienziati, da Carlo Rovelli a Ignazio Licata, da Fabrizio Tamburini a Guido Tonelli). Appoggiandosi alle teorie musicali del maestro Vessicchio, questo stesso narratore multistrato - e che è capace d'inserirsi nella mente e nei pensieri di Putin, di Papa Francesco o di un Gesù redivivo che non vuole assolvere il ruolo che gli è stato affidato da Dio secondo la vulgata biblica - va elaborando teorie in cui i movimenti dei pianeti nello spazio diventano chiavi di volta per partiture dai titoli lirici (Illuminante, Ipoaggregante...).

La scienza, la musica e la religione, così come siamo abituati a concepirla nell'ambito cristiano occidentale, diventano così fonte di racconto, di riflessione, di curiositas nel senso aristotelico del termine (l'uomo si fa filosofo quando si sorprende davanti a ciò che non comprende; la meraviglia è il motore primo che porta homo sapiens a mettere in circolo e in azione i pensieri).

Canto del buio e della luce è un romanzo che ci fa esplorare quei leopardiani "interminati spazi" proprio per non terminare, nel convincimento che ci sono storie che non possono terminare e che spetta a noi, lettori empirici, portare a compimento nella reinvenzione della realtà o nella riflessione critica attorno alla realtà in cui siamo destinati a vivere e, poi, a morire. Moresco, attraverso le voci e i canti del narratore e dei protagonisti di Canto del buio e della luce, viaggia oltre Giove e verso l'infinito, proprio come il David Bowman di 2001: Odissea nello spazio, personaggio ulissiaco e kubrickiano che, dopo essere approdato in una stanza rococò in cui troverà la morte, avrà anche modo d'imbattersi o di vedersi riflesso nel feto nietzscheano che galleggia nell'oscurità dello spazio interstelleare al ritmo di Strauss, simbolo probabile di un nuovo, potenziale inizio.

jueves, junio 06, 2024

 Una scia

Una scia d'areo che solca il cielo: il piacere nella bocca di lei; il piacere nei pori della tua pelle. Lo sguardo nello sguardo: l'intesa perfetta. Tra i limoni dell'orto della città del Sud del Sud della Spagna in cui ti trovi in questo momento, quell'aereo non fa rumore, plana come se fosse disegnato sul pezzo di carta di un bimbo delle elementari, uno di quei bambini che, con la matita fra le labbra, scopre che con le mani si possono creare realtà alternative. 


Nel pomeriggio, vi ritrovate a fare la fila per assistere alla presentazione dell'ultimo romanzo di Juan Manuel de Prada, l'autore di Coños, raccolta di racconti sull' "origine del mondo" tradotto in italiano con il titolo Fiche. Lei non conosceva né l'autore né l'opera in questione e così, intimidito ma felice, gliela presti, ti azzardi a invitarla a leggere alcuni dei racconti più esilaranti (lei legge e ride, tu la guardi e sorridi).


Intanto, in quel preciso momento, mentre lei legge, tu alzi lo sguardo verso l'alto e ti ritrovi inebetito a seguire la scia di un altro aereo (non sarà mica lo stesso del mattino?) e ti chiedi da dove viene e dove va, verso che città è diretto e se all'interno ci sia qualche passeggero che guarda verso il basso, magari proprio ora, magari proprio verso l'ingresso della sala in cui si svolgerà l'incontro letterario...


È l'ora del tramonto, ormai. Entrate e vi sedete l'uno affianco all'altra. Le parli della scia dell'aereo. Le spieghi che l'avevi già visto nel mattino, mentre eravate sotto al limoneto. Lei ti stringe forte la mano e ti sorride. Non aggiunge altro. Non parla. E per uno strano motivo che non sai spiegare ti viene in mente la scena di un romanzo, Il giardino dei Finzi-Contini, di Giorgio Bassani, quando il protagonista incrocia lo sguardo della piccola Micòl e capisce che se ne sta già innamorando.

sábado, marzo 30, 2024

Letture pasquali

Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste dal calendario (cenoni e pranzoni cui è difficile sottrarsi, a meno che uno non decida di diventare improvvisamente un eremita).


In Don Chisciotte e i suoi fantasmi (Palermo, Sellerio, 2023), l'adorato e ammirato Alberto Manguel mi ricorda l'importanza della scelta di Miguel de Cervantes di "inventare" un autore arabo in quanto "storico" che narra le vicende di Don Quijote de la Mancha. Scegliere un arabo (un infedele, agli occhi della Spagna e della Chiesa di Roma del XVII sec.) è un atto di ribellione notevole nei confronti del "pensiero dominante". È paradossale che a partire dal cap. IX della Iª Parte del romanzo leggiamo le gesta del folle idalgo grazie alla traduzione dall'arabo allo spagnolo di un autore originale "infedele", uno che pratica la religione islamica, nemico dello Stato, ma anche della religione di Stato... Perché questa scelta così azzardata? Perché questo trucco letterario?


Manguel sostiene che Cervantes si cali nei panni dell'Altro per invitare i suoi lettori a guardare la realtà da un punto di vista straniante. E l'Altro non è solo l'arabo, ma anche il folle, chi fuoriesce dalla lettura "standard" e razionale della realtà, chi sa guardare il rovescio dei fatti e delle persone...


Tutto ciò determina anche la vivacità e la vitalità del testo cervantino. Chi legge Don Quijote oggi si rende conto del fatto che il libro è ancora attualissimo, che non c'è personaggio o episodio che non possa essere ricollegato ai drammi, alle illusioni, alle paure che proviamo anche noi, lettori e cittadini del XXI sec. E poi c'è questa grande verità:  (id., p. 71): "il tempo di don Chisciotte è un tempo vivo, fertile, che la nostra coscienza va creando via via che lo creiamo"...e di quanti classici si potrà dire lo stesso?


Parla di tempo (e di spazio) e, soprattutto, di punto di vista all'interno del testo letterario anche Alessandro Cutrona in Questione di sguardi. Il punto di vista e la narrazione (Palermo, il Palindromo, 2020). Scritto con uno stile asciutto e grande passione, questo saggio sintetizza, ripassa e riattualizza alcune delle questioni tecniche e teoriche più spinose attorno al punto di vista e a come esso agisce determinando il senso dei testi letterari. E torna l'ombra lunga di Cervantes (e la sua scelta di "inventarsi" un Altro come Cide Hamete Benengeli) sin dalla p. 15: "Quando ci sediamo e siamo intenti a leggere un libro, seppure inconsapevolmente, stiamo abbandonando il nostro punto di vista per adottarne un altro, uno diverso dal proprio: assumiamo un'altra posizione per metterci nei panni dell'altro".


E che stimolanti risultano allora i punti di vista stranianti che hanno inventato maestri come Kafka o Collodi, Henry James o Joyce, Pirandello o Giorgio Bassani (autore che devo assolutamente riscoprire perché, al di là del magistrale Il giardino dei Finzi-Contini, è autore di racconti che mi attirano in modo davvero viscerale).


E poi Donatella Di Pietrantonio, che con L'età fragile (Torino, Einaudi, 2023) mi fa rivivere un fatto di cronaca nera avventuo in Abruzzo con uno stile che non mi convince, anche se ne riconosco l'obiettiva originalità; e poi Antonio Prete, le cui Carte d'amore (Milano, Bollati Boringhieri, 2022) devo ancora aprire, così come ancora attendono pazienti il Massimo Recalcati di Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa (Milano, Raffaello Cortina, 2014) e il Maurice Charney di Amarsi con Shakespeare (Palermo, Sellerio, 2022) e l'immenso Ernst H. Gombrich, con l'imponente Immagini simboliche. Studi sull'arte del rinascimento (Torino, Einaudi, 1978), uno di quei saggi che so già che mi cambieranno (per sempre) il modo di leggere l'arte e di vedere il mondo...


Le vacanze dovrebbero durare di più.

viernes, marzo 29, 2024

 Vico (il lago di) e il ritorno (infinito)


 
 


Atterrato a Roma Fiumicino alle 11:30 del mattino del 23 marzo del 2024, un amico d'infanzia viene a prendermi appositamente per andare a Sutri e raggiungere mio fratello - che compie gli anni - in una magione nel bel mezzo di un noccioleto di svariati ettari di ampiezza. 

Non ricordavo la pianta da cui spuntano le nocciole: ho ancora sulla retina le immagini del caldo anomalo della città del Sud del Sud della Spagna in cui vivo, quando il cambiamento repentino di "set" mi obbliga ad adattarmi al nuovo ambiente (nebbia, pioggiorellina molesta e persistente, la macchina che scivola sul fango, due cornacchie che ci accolgono all'ingresso dell'agriturismo come se fossimo in proncito d'addentrarci nella casa della Famiglia Addams).

Baci & abbracci: non tornavo da Natale (soli 3 mesi), ma l'affetto e la voglia di rivedersi e riabbracciarsi e brindare tutti insieme è sempre molto forte. Mia cugina ha gli occhi lucidi e non saprei dire se per l'emozione del ritorno (il nostos infinito) o per colpa degli Aperol Spritz che ha bevuto non appena si è impossessata della matrimoniale in questo casale di lusso, legno e marmo, quadri ovunque, una biblioteca con libri che arrivano al soffitto e un piano a coda per chi avesse voglia di allietare l'ambiente a suon di musica classica.

ll pranzo (penne al pesto) si prolunga fino alla merenda, la merenda si unisce alla cena, la cena al dopocena, non si contano più le bottiglie di vino, birra, superalcolici che si stendono a terra, lungo la tavolata da 15 persone.

Qualcuno parla di Terza Guerra Mondiale. Altri di dove andare a Pasquetta. Altri ancora di quant'è difficile vivere in Italia e di quanto debba risultare facile farlo in Spagna. Smentisco. Argomento, mostrando i pro e i contra. Elogio la bontà della cucina italiana. Qualcuno accende una sigaretta che emana subito un forte odore riconoscibilissimo. Si canta, si balla, si ride, fino all'una e mezza di notte, quando l'insonnia patita il giorno prima del viaggio mi fa accasciare sul primo letto che trovo andando in bagno.

Il giorno dopo qualcuno propone di fare colazione al lago di Vico. È a 15 minuti dalla magione. Troviamo il parcheggio lungolago. Non avevo mai sentito palare prima di un lago col nome del filosofo (Giambattista, napoletano, avvocato, oltre che inventore della teoria dei "corsi e ricorsi storici"). Mentre procediamo in fila indiana verso la riva, notiamo una Fiat Panda bianca mezzo scassata con i finestrini alquanto appannati. L'occhio è più veloce del cervello e traduce ciò che sta accadendo in quell'istante: il ragazzino di circa vent'anni è sopra la coetanea nella tipica posizione tradizionale del "missionario". I sedili sono completamente reclinati (orizzontalità fondamentale e sempre agognata dagli amanti che non dispongono di un letto: "orizzontalità, ti amiamo!"). Qualcuno fa commenti salaci. Qualcun'altro ci invita ad allontanarci per non disturbare. La mente corre a situazioni simili, vissute in un passato che sembra quasi finto, tanto è cinematografico o letterario. Ricordo la difficoltà dell'incastrarsi e del dimenarsi tra sedili, cambio delle marce e ammennicoli vari.

Ordiniamo cornetto e cappuccino contemplando la superficie calma del lago e la nuotata atletica di una squadra di anatre (o papere). I camerieri mangiano un piatto di spaghetti (sono le 12:10) forse in anticipo sui potenziali clienti del fine settimana. Il Lago di Vico dev'essere un posto affollato d'estate o ai primi caldi di stagione.

La Fiat Panda scassata si mette in moto. Adieu, mon frère, mon semblable. Che la (buona) sorte vi accompagni e vi consenta di godere di un letto come si deve, prima o poi...e che Eros non vi abbandoni mai...

Guardo la superficie dell'acqua solcata dalle anatre (o papere) e penso a quante altre volte ancora tornerò in Italia dalla Spagna (o da chissà quale altro punto geografico del globo terracqueo). Penso ai fratelli che invecchiano. Alle cugine che si emozionano quando racconti loro qualche intimità vietata ai minori. Alla mamma che, pur invecchiando, non la smette di lavorare e di preparare il cibo per chi torna dopo 3 mesi d'assenza...A chi non può tornare nella sua terra di nascita. A chi fugge dalla sua terra di nascita e, fuggendo, muore. A quel lento movimento della macchina con la coppia di giovani amanti. E chissà se è quel movimento che rende tutto più umano e sopportabile. E meno nostalgico. O meno malinconico.

jueves, febrero 29, 2024

 Un incubo (letterario)

La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di mesi fa, tornassi ad entrare in contatto con uno degli scrittori spagnoli che più ammiro al mondo. LG ha 89 anni, ma mantiene intatte la lucidità e l'ironia amara (a tratti mordace) delle sue opere migliori. 

Le telefonate del venerdì pomeriggio diventano quasi un rituale, una piacevolissima routine, fino a quando non decidiamo entrambi di trascrivere in una sorta d'intervista (molto letteraria) le domande e le risposte che ci scambiamo sui romanzi più famosi e complessi di LG.

Da più di due settimane LG scompare. Non mi dice se la versione scritta dell'intervista è accettabile e merita di essere pubblicata. Né mi consiglia su quale rivista provare a pubblicarla. Mi preoccupo. A lezione faccio leggere alcuni brani dei suoi romanzi, le poesie di suo fratello, un'intervista uscita nel 2018... E lui non risponde, sembra svanito nel nulla (il cellulare tace, i venerdì pomeriggio diventano più lunghi e noiosi).

Fino a quando, l'altroieri, ho un incubo. Sogno di chiamare LG, mi armo di coraggio e faccio il suo numero perché voglio appurare se sta bene, se non gli sia successo nulla di male, se non è per caso finito all'ospedale (un malanno passeggero, un raffreddore, una caduta). Mi risponde una donna anziana che - nel sogno - immagino funga da sua badante. "Ma come?", mi chiede la signora: "Non lo sa? LG è morto!". 

Resto a bocca aperta. Inizio a piangere e non so cosa dire. Riattacco e mi sveglio immerso nel sudore freddo di chi si sente in colpa per non aver più chiamato e per non aver nemmeno tentato di ristabilire il contatto.

Alla fine, ieri, mercoledì, lo chiamo. LG mi risponde con un tono di voce un po' intristito, mi spiega che ha iniziato a soffrire per un dolore all'anca. Dorme, ma non può stare seduto troppo tempo. Deve cambiare posizione. Respiro tranquillo e gli dico che passerà, sicuro che andrà meglio, col tempo. LG mi dice che sì, che di sicuro riusciremo a vederci, magari per fare l'intervista dal vivo (o per chiacchierare senza problemi e senza limiti d'orario, soprattutto: senza cellulari nel mezzo).

Questa sera rileggo alcuni brani particolarmente lirici del suo romanzo più famoso. E penso che la vita mi ha fatto molti regali inaspettati e che questo - l'amicizia con LG - è uno dei più belli e chissà se meritati.

lunes, febrero 19, 2024

L'antica fiamma


Non sappiamo bene come, ma a volte finiamo col vivere esperienze indicibili, avventure per le quali le parole non bastano o quelle che proviamo ad utilizzare per formulare ciò che sperimentiano, ciò che sentiamo, ciò che pensiamo non bastano, sono zoppe, vanno a zig zag, sbandano, non ce la fanno proprio a cogliere l'obiettivo, non riescono a stare dietro alle ondate (alle maree) delle emozioni vissute a fior di pelle.


E allora smetto di pensare con la mente e provo solo a rievocare la passeggiata di questa mattina, tra papere nello stagno, ciclisti che girano con la bici in mezzo alle colline, gente che corre e scolaresche che si avvicinano alla riva del fiume per studiare la flora e la fauna, e quel raggio di sole che m'illumina d'immenso e le illumina il volto... Un sorriso che iptnotizza. Una risatina che fa ridere. Delle mani che si stringono alle tue in perfetta armonia. Le bocche che parlano e parlano e s'intendono a vicenda. Le labbra carnose di entrambi che suonano la stessa musica (opera italiana classica, dal Flauto magico al Don Giovanni, Mozart in sottofondo, come una ninna nanna classica piena di lampi di gioia).


Di nuovo (accidenti) la sensazione di vivere il momento, del carpe diem sincero e non quello da topos che nessuno nel XXI secolo si azzarda ad applicare alla sua stessa vita vissuta (ci vuole coraggio per sbagliare o anche solo per prendere una strada che non porta da nessuna parte).


Gli abbracci innocenti e le strette di mano. Gli sguardi che dicono e non hanno bisogno di linguaggio verbale per dirlo. Le sottili ironie. Le profonde riflessioni sulla caducità di tutte le cose (comprese le emozioni, incluse queste stesse sensazioni a fior di pelle). Gli abbracci che sbocciano spontanei nel nome dell'amicizia, della mutua (reciproca) ammirazione. Quelli che sembrano tratti da un film di Woody Allen e quegli altri che paiono citazioni da un film di Nanni Moretti. 


Di nuovo le passeggiate lungofiume. Lungouniverso. Lungoessere. Di nuovo tu, sotto falso nome, diverse spoglie, un andatura leggermente claudicante, il balbettio comico che mi provoca un'enorme ed indicibile tenerezza. Di nuovo tu. Sì. Eros dolceamaro. Riconosco i segni dell'antica fiamma...

miércoles, enero 31, 2024

 "Nubi, folgori, trasparenze; non rosso né topazio né celeste, crepuscolo instabile"


La frase è traduzione dallo spagnolo di una riga dell'incipit di un capitolo di un romanzo che s'intitola Antagonía e consta di quasi 1400 pagine. Il romanzo in questione, di Luis Goytisolo, non è mai apparso in italiano, ergo, i lettori italiani lo ignorano, non ne conoscono l'esistenza, semplicemente: non sanno che esiste.

Traduco questa frase, piena di poesia, come fosse un componimento a metà tra Leopardi e Pascoli, e ripenso a ciò che è accaduto ieri. Un congresso pieno di interventi interessantissimi sull'importanza delle biblioteche e degli archivi come "luoghi della memoria", spazi in cui si custodiscono le voci del passato (degli scrittori morti in passato).

E poi un'intervista: ad uno storico e filosofo di Mali che, dopo l'invasione di Tumbuctú da parte dell'esercito irregolare dei tuareg e degli islamisti estremisti, si è visto costretto ad abbandonare la propria casa, la propria patria, una biblioteca familiare contenente più di 10 mila manoscritti risalenti ai secoli dal XIV al XVIII e che si è autoesiliato in Spagna.

Uno ascolta Ismael e sente tutta la potenza della sua dizione, della sua retorica non costruita, ma nata dopo anni e anni di lotta impari contro la violenza dell'uomo sull'uomo e dell'attacco assurdo dell'uomo sulla cultura (o su beni culturali come quelli che si conservano all'interno degli archivi e delle biblioteche).

E poi una cena tra colleghi, tra amici, tra conoscenti, all'insegna della birra e dell'allegria, della spensieratezza, dopo tanto dolore, dopo tante emozioni, dopo tante riflessioni su chi siamo e su cosa siamo diventati...

E infine uno sguardo che ti mette a nudo, che ti sorveglia e ti scruta, che, come il crepuscolo di cui sopra, non è né rosso né topazio né tantomeno celeste, ma è folgore, è nube, è trasparenza, è tremore e terrore di cadere vittime di Eros, un'altra volta, sempre lui, sempre Eros nel mezzo del cammin di nostra vita... E quell'abbraccio all'uscita dal bar; quelle risate spontanee; quei sorrisi che non ce la fanno proprio a tacere l'ardore e la voglia di stringersi e di baciarsi senza censure, quell'irrazionale parlarsi senza dire parole...quel gioco degli sguardi, quelle folgori che accendono la passione quando uno meno se l'aspetta, quelle nubi che ci attorniano, minacciose, quelle folgori e quelle trasparenze, le anime che ballano insieme senza che noi possiamo dettare il ritmo o decidere se e dove e quando fermarci.

lunes, enero 29, 2024

 Il 24 gennaio del 2024

È il 24 gennaio del 2024. Sono trascorsi 24 giorni dall'inizio dell'anno nuovo. E il destino (o il caso) ha voluto che, nello stesso giorno, discutesse la sua tesi la mia prima dottoranda in Spagna e uno dei miei scrittori preferiti mi concedesse un'intervista telefonica alle 19:30 del tardo pomeriggio.

La tensione della mattinata va in aumento, invece di sciogliersi. La commissione che valuta la tesi fa notare le pecche, le sviste, gli errori di citazioni e quelli relativi alla bibliografia. Il relatore, in questi casi, deve incassare i colpi e assumere la responsabilità. Poi, dopo l'esposizione dei difetti, la Santa Inquisizione torna ad essere gentile perché - rituale che non capirò mai - la dottoranda deve invitare tutti a pranzo e, possibilmente, in un ristorante di lusso.

Maria mi chiede consiglio giorni prima dell'evento; le offro tre opzioni, dalla più economica e vicina all'Università alla più cara ed elegante (un ristorante in periferia, in mezzo al verde, con piscina olimpionica al centro e vasta terrazza con vista panoramica sulla città).

Alla fine, andiamo a pranzo in un ristorante intermedio, né troppo umile né sciccoso. I membri della commissione parlano e ridono e sorridono; la dottoranda non smette di ringraziarli. Io parlo di poesia cilena con un'italiana che ha studiato tra Salamanca ed Alicante. Poi, nel pomeriggio, riaccompagno la dottoranda in hotel: deve scappare a riprendersi le valigie, perché ha un bus per l'aeroporto tra mezz'ora.

Si sono fatte le 19:30. Alle 19:31 uno dei miei scrittori preferiti mi chiama. Puntualità tedesca (o svizzera), LG inizia a rispondere alle mie domande, a volte troppo lunghe, altre troppo accademiche. LG mi risponde a tono, è genitle e ironico, a tratti anche autoironico. 

"Quell'immagine che apre e chiude il romanzo - quasi 1400 pagine - dell'ufficiale in groppa ad un cavallo bianco...ha un evidente significato simbolico. Il bianco in mezzo al fragore e al fumo della guerra civile spagola. Non è un caso; rappresenta...".

LG m'interrompe: "Quell'immagine è reale. Io ho visto quell'ufficiale su un cavallo bianco nel 1938. Avevo 3 o 4 anni ed ero sfuggito al controllo dei miei per vedere cosa stesse succedendo, con tutti quei carri armati, quelle sidecar, quei soldati sparsi in ogni dove, coi fucili a tracolla. Io l'ho visto davvero quell'ufficiale e quel cavallo bianco".

24 gennaio del 2024. Non è ancora finito gennaio, il primo mese dell'anno, ed ho già vissuto due eventi memorabili: la dottoranda che consegue la lode; lo scrittore preferito che smonta la mia interpretazione simbolica di un evento accaduto davvero e sul piano della realtà. Gli scrittori servono anche a questo: a smontare ogni teoria che il critico letterario possa inventare sulle loro opere. Un ufficiale su un cavallo bianco...Il fumo, gli spari, il caos della guerra civile spagnola...Un bambino di 3 o 4 anni che scopre la Storia, senza sapere cosa ci facciano tutti quei soldati e quei fucili a pochi metri dalla porta d'ingresso di casa...

domingo, enero 21, 2024

 Cosa fare dei classici?


Un collega che conosco solo di vista e che ha fama d'intrattabile, di saccente, di superbo ha pubblicato un articolo che un amico appassionato del Quijote ha avuto la gentilezza di mandarmi via Whatsapp. Nell'articolo, il collega succitato, docente di Letteratura Spagnola, si chiedeva come mai i lettori odierni non leggono il Quijote, l'opera immortale del Manco di Lepanto, e le risposte erano tra le più ovvie: a) mancanza cronica di tempo; b) eccessiva lunghezza dell'opera (più di mille pagine, anche nelle edizioni tascabili e senza note al pie); c) eccessiva difficoltà nel leggere un testo del XVII sec. e, quindi, scritto in uno spagnolo ormai percepito come complesso e troppo distante dall'attuale; d) scarsa capacità di concentrazione del lettore odierno fin troppo abituato a leggere solo testi brevi o messaggi di poche righe (come quelli che ci si scambia sui social).

E allora mi è venuta in mente la seguente domanda: cosa fare dei classici? Come leggerli (o continuare a leggerli) nel XXI sec., il secolo dell'IA (= Intelligenza Artificiale), della rapidità, dell'iperconnessione cronica, della lettura costante ma sempre (solo, a volte) superficiale dei testi? Come insegnarli a scuola, se i ragazzi considerano "vetusto" o "preistorico" perfino un fumetto degli anni 40 come Topolino? Come insegnare l'Odissea o l'Eneide, la Divina Commedia o Shakespeare, Proust o Thomas Mann, se a molti lettori odierni mancano i riferimenti a quei miti, a quelle figure, a quei racconti primordiali, a quelle stesse opere letterarie che stanno alla base di Shakspeare o Proust o Thomas Mann?

Non ho risposte a simili domande; temo di non avere nemmeno le potenziali soluzioni al problema (se di "problema" si può parlare, perché la quantità dei "non-lettori" temo sia altissima, rispetto al passato, anche se non conosco statistiche e non so bene come si leggesse ai tempi di Dante o di Shakespeare, di Proust o di Thomas Mann). Sì so per esperienza (comprovata) che, una volta che uno si decide ad introdurre un classico al lettore attuale, ad inquadrare storicamente il contesto, a suggerire le molteplici letture che un classico consente, da quelle più "archeologiche" a quelle più "superficiali" e legate a trama e personaggi, a tematiche e spazi e tempi, ecco che il lettore attuale, lungi dallo spaventarsi, lungi dal rifiutare la lettura del testo, vi si avvicina con spirito intraprendente e voglia di scoperta. Come se, solo dopo una propedeutica contestualizzazione dei fatti, anche il lettore attuale trovasse il modo di avvicinarsi al testo del passato senza paura, senza remore, senza filtri, desideroso di andare avanti nella lettura, ansioso di vedere come va a finire.

Si tratta di un (difficilissimo) equilibrio tra ciò che si sa dell'opera e ciò che l'opera continua a dire, anche a distanza di secoli. E forse, solo allora, il lettore capirà che leggere i classici non è una perdita di tempo, né un modo strano di passare il tempo, né una stramberia da happy few, bensì un modo per conoscersi e per conoscere meglio ciò che siamo, ciò che siamo stati, ciò che non vogliamo, ciò che potremmo essere.

Lo scenario che ci offre il futuro non è dei più rosei. Ma finché ci sarà un lettore attento e disposto a prendersi cura del testo (se classico, ancora meglio), forse, ci sarà ancora speranza. Altrimenti, chissà se e come ci potremo adattare a un mondo senza classici o, addirittura, senza libri, un mondo senza cultura e senza domande, un mondo privo di spirito critico e di creatività. Apocalypse Now, certo, ma ancora no, ancora abbiamo scampo...(forse).

sábado, enero 06, 2024

 L'ultima innocenza di Emiliano Morreale





È un libro affascinante, L'ultima innocenza, di Emiliano Morreale. E lo è per diversi motivi: 1) è un libro sul cinema, ma che permette di leggere una serie di "storie alternative" alle storie del cinema "ufficiali": il narratore si presenta spesso sotto le spoglie di un indagatore, un investigatore, un detective privato che va alla ricerca del dettaglio che potrebbe spiegare il tutto, dei nomi dimenticati, delle maestranze e degli sceneggiatori caduti nell'oblio; 2) è un libro di racconti (6 per essere esatti) e il lettore può leggerli separatamente, assaggiarli uno ad uno senza fretta, anche se l'ordine in cui sono distruibiti segue una struttura che poi porta alla parola "Fine"; 3) è un libro di racconti sul cinema dimenticato (o più marginale) scritto con stile cinematografico. Ciò è evidente soprattutto nell'ultimo racconto, quello che s'intitola "La donna perduta", in cui l'io che parla passa il lockdown rinchiuso in casa (come tutti) per cercare di digerire un'abbandono amoroso e per tentare di ricostruire la vita di Dorothy Gibson, un'attrice sfortunata che si salvò dal disastro del Titanic, ma non da un destino triste che l'ha portata in contatto perfino con Indro Montanelli e lo spionaggio a metà tra i russi e gli americani sul finire della Seconda Guerra Mondiale; 4) è un libro pieno di comicità trattenuta o, a tratti, esplicita: come nel caso di "E se tu non vieni", un racconto in cui chi narra finisce a casa di uno dei maggiori esperti di cinema pornografico italiano e lì scopre dettagli che non avrebbe mai immaginato sulla settima arte (oltre che sul senso dei cinema di periferia, delle sale vietate ai minori, ormai cadute anch'esse nell'oblio).

Uno dei racconti migliori è quello che dà il titolo al libro intero: Come le foglie al vento ricostruisce i destini incrociati (o le vite parallele) di Douglas Sirk e di Veit Harlan: il primo autore di alcuni dei classici atemporali della storia del cinema mondiale; il secondo regista di uno dei film più immorali e disgustosi di sempre, Süss l'ebreo, commissionato e molto elogiato da Goebbles.

Triste e a tratti agghiacciante "Tutto sarà perdonato", in cui il lettore potrà osservare i retroscena di quel cinema indipendente che cresceva calvacando l'onda lunga del 68 parigino e seguire le sventure esistenziali di registi e attori e intellettuali naufragati sugli scogli della Storia; grottesco e quasi surrealista "La terra dei sogni", una specie de reportage sui legami tra la Mafia, il cinema e i rapporti conflittuali tra padri e figli, con i padri impegnati a mantenere alto l'onore del clan e i figli impegnati a infangare o sporcare quell'onore per la fregola di diventare artisti.

Il secondo racconto s'intitola semplicemente "W." e narra la biografia di Waszynski, un personaggio che sembra essere uscito fuori da un romanzo di Graham Greene o da F. for Fake di Orson Welles.

Se la "magnifica ossessione" per il cinema può essere sia "erotica" che "necrofila", con L'ultima innocenza Morreale ci insegna che è bene seguire le proprie ossessioni, che la scrittura può salvare, che fino a quando si resta nel ricordo o nella memoria degli altri, si è ancora in vita (anche se la vita è breve e non c'è film che possa raccontarcela per intero né potrà mai spiegarcela).


lunes, enero 01, 2024

 Parlare con i morti: su Paul Auster e il suo ultimo romanzo




Le coincidenze non esistono. O la vita è solo una sequenza finita di coincidenze. Il caso detta i nostri passi. E a volte ci sorprende in modo grato e ci strappa un sorriso. Il caso ha voluto che venerdì 29 dicembre 2023, un paio d'ore prima di ripartire per la Spagna, comprassi il giornale e l’ultimo romanzo di Paul Auster all’aeroporto di Roma Fiumicino. E sempre il caso ha voluto che iniziassi a leggere un articolo tratto da La Repubblica e intitolato: “Le parole che non ti ho detto”. A Capannoli, in provincia di Pisa, qualcuno ha creato una cabina telefonica su imitazione di quella che inaugurò nel 2010 Sasaki Itaru, un giapponese che, dopo aver perso suo cugino, ha installato un telefono pubblico in cui provare a sfogarsi e a parlare con chi se ne è andato. Dopo lo tsunami apocalittico che sconvolse il Giappone l’anno dopo, quella cabina telefonica è diventata luogo di ritrovo dei tanti sopravvissuti alla tragedia che hanno provato a dialogare con i cari defunti.

Il capitano dell’aereo diretto a Valencia ci avvisa che stiamo per staccarci da terra e che bisogna tenere le cinture allacciate. Inizio a leggere con foga le primere 30 e poi 40 pagine di Baumgartner di Paul Auster e, stranamente, anche in questo bellissimo romanzo, si parla di lutto: un professore di filosofia ha perso la moglie dopo quasi mezzo secolo di vita vissuta con passione e trasporto. Un’onda anomala ha ucciso Anna Blume, la moglie di Baumgartner che, da dieci anni a questa parte, prova a sopravvivere come meglio può a un vuoto incolmabile. A volte gli sembra di ascoltare il ticchettare ritmico della vecchia macchina da scrivere che Anna usava per le sue traduzioni dallo spagnolo, dal francese e dal portoghese. Una notte, invece, sente il ronzio di un vecchio telefono a parete, quello preferito di Anna. Baumgartner è incredulo, è notte fonda, la casa è vuota, ma si fa coraggio, solleva la cornetta e…è Anna, riconosce la sua voce, la moglie morta gli racconta che sta bene, che ormai è finita nel Grande Nulla, che l’al di là non è come molti se lo immaginano: 

“Dopo morti si entra nel Grande Nulla, uno spazio nero dove tutto è invisibile, un vuoto assoluto e silenzioso, l’oblio sconfinato. Non si entra in contatto con nessun altro defunto, nessun ambasciatore dal cielo o dagli inferi viene a spiegare cosa ci attende. Perciò lei [Anna] non ha idea di quanto durerà la sua condizione presente, ammesso che presente possa ancora essere un termine valido in un luogo simile, che non è nemmeno un luogo ma un nulla, uno spazio indefinito sottratto a un’infinità di spazi indefiniti. Non vede niente e non sente niente perché non ha più un corpo, nessuna estensione, come dicevano i filosofi antichi, ragion per cui non è mai stanca né affamata né prova dolore né piacere né niente di niente, e se la si potesse misurare nello spazio, ammesso che spazio possa ancora essere un termine valido, probabilmente non sarebbe più grande di una particella subatómica, il frammento più minuscolo, infinitesimo del mistero cosmico” (p. 47).

Oggi, 1 gennaio del 2024, quando ho finito il romanzo di Paul Auster, ancora commosso da suo finale aperto e sconcertante, ripenso a quell’articolo sulla cabina telefonica di Pisa, una cabina fatta di legno, in cima a una collina da cui si può contemplare tutto il paesaggio circostante e dove il telefono è privo di fili. Come Baumgartner, anche a me piacerebbe poter riascolare la voce di chi non c’è più, non necesariamente di chi non c’è più perché è morto, come Anna, la moglie traduttrice del professore filosofo, bensì di chi, pur essendo ancora vivo, ci ha abbandonati o vive un’altra vita, lontano da noi, e chissà se ogni tanto ha un ricordo di noi e della vita che abbiamo vissuto in loro compagnia. È il primo dell’anno e mi piacerebbe poter alzare la cornetta di quel telefono senza fili in quella cabina di legno della provincia di Pisa per poter semplicemente chiedere: “Come stai?”. E attendere la risposta di una voce che ci era amica e faceva parte della nostra quotidianità. “Ciao. E tu come stai?”.


Incredibile constatare come la realtà anticipi la finzione o come, a volte, la finzione non è altro che la trascrizione della realtà. E chissà se Paul Auster avrà mai avuto notizia di Sasaki Itaru e del suo telefono in contatto col mondo dei morti. Chissà cosa ne penserebbe di un'iniziativa "umanitaria" che lui stesso ha descritto e narrato all'interno del suo ultimo, emotivo romanzo...

 David Lynch: non lo "lyncheremo" più Ieri sera, verso le 20:00 (l'ora di cena per me, all'italiana), mia cugina mi manda ...